Il fintech fatica con Pmi e professionisti: non è considerato ancora una risorsa

Non è un problema di consapevolezza delle proprie esigenze o di focalizzazione sui passi da compiere per migliorare la gestione del proprio business. E neppure di scarsa percezione delle potenzialità del digitale. A frenare le piccole e medie imprese e i professionisti nell’adozione delle nuove tecnologie a supporto delle attività di ordine amministrativo e finanziario è, ancora una volta, la fortissima propensione a mantenere vecchie abitudini e a privilegiare soluzioni tradizionali, senza approfondire in modo adeguato le opportunità offerte dagli strumenti di finanza innovativa disponibili.

Questa paura del cambiamento, se tale si può definire questo approccio, emerge in modo evidente da una recente indagine qualitativa condotta dall’istituto di ricerca Rfr International per conto della fintech Tot, piattaforma di finance management attiva da marzo 2022 con oltre 1.200 aziende fino a 9 dipendenti in portafoglio, e finalizzata a comprendere le aspettative di Pmi e liberi professionisti in merito al loro rapporto con il digitale.

L’indagine fotografa, infatti, una chiara diversità di atteggiamenti nei confronti del conto aziendale, che vede da un lato i professionisti averne spesso uno solo e con le stesse caratteristiche di quello personale (stessa banca, tipologia e persona di riferimento) e dall’altro le microimprese che ne utilizzano più di uno, associato a specifiche funzioni e scelto in base a caratteristiche solitamente di natura economica (interessi migliori, costi ridotti, funzioni ad hoc e altro).

Ad accomunare i due mondi, per contro, c’è per l’appunto un approccio “old style”, riconducibile a operatori bancari tradizionali e ancorato a scelte operate anche molto tempo indietro, che non vengono messe in discussione fin quando non intervengono esigenze nuove e pressanti, come il bisogno di una surroga o l’esigenza di accendere un leasing, l’urgenza di anticipi/crediti o il lievitare incontrollato dei costi del conto corrente.

In assenza di stimoli esterni o impellenze legate a un cambiamento di ordine operativo (come per esempio lo spostamento delle domiciliazioni e la comunicazione a fornitori/clienti, la ricompilazione dell’elenco beneficiari o creditori) e a causa di una superficiale valutazione delle diverse proposte, ecco che professionisti e Pmi rimangono fedeli al canovaccio consolidato, aumentando il rischio di appesantire i processi e di non approfittare dei vantaggi in termini di efficienza e velocità garantiti dagli strumenti digitali.

Come si legge ancora nell’abstract dello studio, in effetti, se l’home banking è uno strumento esclusivo di operatività quotidiana e se la possibilità di operare in piena autonomia e sicurezza online senza perdere tempo recandosi in filiale raccoglie pareri più che positivi, i soggetti intervistati mostrano un atteggiamento quasi univoco di resistenza verso una proposta di piattaforma completamente digitale, senza touch point fisici sul territorio.

Da dove nasce questa diffidenza? Non vi sono motivazioni concrete e razionali, ma è prevalente il timore irrazionale di perdere figure di riferimento “umane”, a cui di fatto raramente si fa riferimento ma la cui sola esistenza dà sicurezza. Un sentiment contraddittorio, insomma, rafforzato anche dalla centralità attribuita al servizio di customer care, che nel caso sia gestito da persone reali, (e non da meri risponditori automatici o chatbot evoluti) rappresenta di per sè un valore per il cliente finale in termini di assistenza e consulenza.

Ciò che chiedono puiccole imprese e professionisti, in generale, è un rapporto di partnership con il proprio interlocutore finanziario e non di semplice fornitura, fermo restando che l’economicità del conto rimane un elemento centrale di valutazione di un servizio. Come ha evidenziato anche Bruno Reggiani, Coo e co-founder di Tot, “è però necessario un cambiamento culturale che i giovani hanno già fatto, rendendoli pronti a cogliere il valore aggiunto dei servizi digitali. E’ corretto essere attenti alla solidità della realtà a cui si affida il proprio business, ma è indubbio che sul mercato siano presenti attori digitali monitorati e vigilati che garantiscono le stesse tutele del sistema bancario tradizionale”.

Personalizzazione ed evoluzione dell’offerta, assistenza continua e rapidità di risoluzione dei problemi, procedure semplificate e veloci sono le voci più importanti nella casella “richieste”, con i soggetti più giovani e tecnologicamente più aggiornati che dimostrano una minore predisposizione all’inerzia (circa vecchie abitudini di finance management) e a un approccio contraddittorio.

La maturazione del fintech e delle piattaforme di finanza alternativa gioca ovviamente a favore di questa migrazione da tradizionale a digitale e uno studio recente di Qonto – altra piattaforma di business finance management, francese di origine ma da tempo radicata in Italia -, condotto in collaborazione con l’agenzia Cint, rileva in proposito come l’87% degli italiani (percentuale che raggiunge il 93% nella fascia tra i 18 e i 24 anni) utilizzi regolarmente almeno un’app  per pagamenti, attività bancarie, prestiti o altre attività finanziarie nella propria vita personale o professionale.

Oltre il 76% dei soggetti intervistati, inoltre, dichiara di possedere almeno un conto online (personale o aziendale) mentre quando si parla di gestione del denaro in modalità digitale i servizi e i prodotti fintech sono considerati affidabili e sicuri dall’85% degli intervistati, e di questi il 46% ritiene che lo siano quanto o più di quelli tradizionali.

Considerando che il 68% degli italiani preferisce effettuare pagamenti tramite carte di credito e debito o pagamenti via app, contro solo il 32% di chi risponde di prediligere i contanti, perchè c’è ancora una diffusa diffidenza nell’adozione sistemica di questi strumenti per gestire la finanza in ambito professionale?

La risposta, per quanto sorprendente, sta nella scarsa conoscenza della materia: oltre la metà del campione oggetto di indagine conferma di aver sentito parlare di fintech ma non conosce l’argomento o lo conosce poco e un terzo non ne ha mai sentito parlare.

A far ben sperare in un’inversione di tendenza c’è comunque un dato. Chi più conosce l’argomento è generalmente chi fa impresa, con il 15% di professionisti o imprenditori intervistati a ribadire una conoscenza approfondita dell’argomento (a fronte però di un 22% che non ha mai sentito parlare prima).

Come osserva Mariano Spalletti, country director di Qonto in Italia, la sintesi di tutti questi indicatori conferma come “l’Italia sia, a dispetto di quanto si creda, un Paese in crescita per quanto riguarda l’utilizzo della tecnologia applicata alle finanze, ma c’è ancora bisogno di fare educazione sul tema per accompagnare le aziende a sfruttare appieno il pieno potenziale di un’innovazione che ormai è da considerare oggi più che mai necessaria e imprescindibile”.

di Gianni Rusconi

6 aprile 2023


Mutui, rimborsi parziali per chi estingue un mutuo anticipatamente

Chi ha estinto un mutuo anticipatamente non avrà diritto a riottenere anche i costi iniziali del finanziamento (noti come up front) ma solo una riduzione pro-quota dei costi che dipendono dalla durata del credito (tipicamente gli interessi). A deciderlo è stata la Corte di Giustizia europea che si è espressa sulla questione, aperta prorio dai giudici di Lussemburgo con il “caso Lexitor”, valido però per il credito al consumo.

Le conseguenze sulla Lexitor

Ad incidere sulla decisione ora assunta dalla Corte hanno molto probabilmente pesato anche le conclusioni dell’avvocato generale presso la Corte di Giustizia Manuel Campos Sànchez-Bordona, che aveva proposto in via principale di limitare il rimborso, in caso di estinzione anticipata, ai soli costi recurring (così implicitamente criticando la sentenza Lexitor scritta quando lui non ricopriva tale ruolo).

 


Costo dell’energia, per le Pmi non è più un “tabù”.

Il costo dell’energia è un problema molto sentito dalle Pmi. Mentor, grazie all’intervento di Sace BT, sostiene l’intera filiera garantendo il pagamento delle bollette ai fornitori.

L’incremento del costo dell’energia è un tema molto attuale visto il clima di forte agitazione internazionale che stiamo attraversando. Lo scoppio della guerra russo ucraina lo scorso mese di febbraio, ha effettivamente acuito una situazione di per sé già critica; dovendo circoscriverlo in un orizzonte temporale infatti, l’aumento del costo dell’energia è databile a fine anno 2021.

Costo dell’energia: un doppio problema.

In realtà gli imprenditori hanno dovuto affrontare (e lo stanno facendo tuttora) un problema di natura duplice. L’aumento del costo dell’energia, a monte, ha “incontrato” a valle gli strascichi della pandemia che hanno causato l’inevitabile chiusura dei mercati di sbocco. È poi intervenuta la guerra che ha generato l’esplosione del costo dell’energia e la chiusura a est dei mercati.

Costo dell’energia aumentato? Ecco perché Mentor.

Mentor arriva in soccorso delle Pmi in difficoltà che non riescono ad adempiere ai loro contratti di fornitura dell’energia. Lo fa in maniera semplice e chiara come chiari - del resto - sono gli strumenti messile a disposizione dalle sue società partner.

Sace, realtà a sostegno delle imprese italiane, è una di queste. È Sace (in particolare la sua società di assicurazioni a breve termine, Sace Bt) ad offrire le più ampie garanzie di pagamento ai fornitori di energia, dopo che il “decreto energia”, emesso a marzo dal Governo, ha consentito alle imprese di rateizzare le fatture del periodo maggio/dicembre.

Come funziona il prodotto “Cauzione energia Pmi”.

Quale il rimedio efficace per contrastare i rincari e il costo dell’energia? Con la “Cauzione energia Pmi”, alle piccole e medie imprese fino a 50 mln di fatturato, viene data la possibilità di rateizzare le bollette fino ad un massimo di 24 mesi a fronte della presentazione di una garanzia di pagamento. Sace Bt interviene col suddetto prodotto (una fidejussione assicurativa) che assolve ad una duplice finalità:

  • Dare respiro alle imprese;
  • garantire il fornitore a monte della filiera.

criteri di accesso a tale garanzia di pagamento sono pochi, semplici e oggettivi. Si prendono in considerazione dati di bilancio che non devono presentare negatività. Il processo, inoltre, risulta molto più fluido perché viene stipulato un accordo a monte, ovvero condiviso con il venditore di energia; è a questo che viene richiesta la possibilità di rateizzare e una volta eseguito lo screening dell’azienda si concorda il piano d’ammortamento. Una grande novità riguarda le modalità d’accesso alla garanzia: interamente digitalizzate. L’imprenditore stipulerà la polizza direttamente sulla piattaforma online dopo essersi registrato, una volta inseriti i dati (tra cui durata e importo da rateizzare) e dopo la valutazione finale di Sace Bt. In caso di esito positivo il cliente troverà una bozza di polizza da firmare in digitale. Il tempo richiesto per l’emissione è di 8/10 giorni. È a quel punto che il cliente potrà presentare tutta la documentazione al fornitore di energia.


Fintech, una rivoluzione culturale a sostegno delle Pmi.

Mentor, a sostegno delle Pmi con l’ausilio del Fintech.

Mentor è il mediatore creditizio ideale per le Pmi che vogliono accedere al credito, mettendo in atto la rivoluzione culturale del Fintech.

La storia personale di Pasquale Santomassimo confluisce in quella della sua “creatura”, Mentor, società di consulenza e mediazione creditizia da lui fondata nel 2008.

Ai tempi il core business di Mentor consisteva nella consulenza ad aziende strutturate, appartenenti al segmento delle “Mid and large corporate”. Mentre ad oggi la Mentor sta attuando una vera e propria rivoluzione culturale rivolgendosi non più alle grandi aziende ma alle Pmi del Lazio ed in particolare a quelle del territorio di Latina e Provincia.

Sostegno alle Pmi, cosa cambia rispetto al passato?

Nel tempo, le regole imposte a livello comunitario dall’EBA (European Banking Authority) per la gestione degli Istituti bancari, hanno reso più stringenti le condizioni per la valutazione del merito creditizio delle Pmi. Questo ha fatto sì che le aziende bancarie accentuassero i controlli sui processi istruttori ad esse dedicati indirizzandosi, di contro, sempre più verso le medie/grandi imprese, le uniche in grado di fornire set documentali completi (bilanci certificati, piani programmatici, studi di settore, budget pluriennali, etc.); le uniche in grado di sostenere un’organizzazione del lavoro di alto livello e di assicurare una gestione aziendale rispondente alle richieste degli stakeholder.

In soldoni questo si è tradotto nella riduzione del sostegno alle piccole e medie imprese.

Parliamo di “Fintech”.

Cambiano le regole e cambia la struttura del mercato. È un “mondo” economico in continua evoluzione ed è consolidata l’esigenza di nuove metriche per valutare il merito creditizio delle Pmi. Qui viene in soccorso il Fintech, un modo nuovo di fare banca ereditato dal contesto anglosassone che poggia le fondamenta su tre pilastri fondamentali:

  • L’intelligenza artificiale (Ai);
  • il Machine learning;
  • l’’Open banking.

Mentor va a colmare una nicchia nuova intrecciando accordi commerciali con le società che per fare banca ricorrono a questi strumenti informatici.

Tramite l’intelligenza artificiale, il machine learning e l’open banking si elaborano dati che fotografano lo stato di salute dell’azienda “al momento”, migliorando così la disponibilità di informazioni maggiormente predittive rispetto a quelle utilizzate fino ad oggi.

Il responso è pressoché immediato, anche nel giro di 24 ore. Vengono presentati i set documentali essenziali in linea con le esigenze delle Pmi.

Mentor ha scelto Fintech. Mentor diventa dunque l’alternativa plausibile per le Pmi in cerca di credito; l’interlocutore su misura per “dialogare” con un sistema economico che oggi meglio risponde alle loro esigenze.


Crowdfunding verso il registro. Consob e Bankitalia in campo

A quasi un anno (novembre 2021) dall’entrata in vigore del Regolamento Europeo sul crowdfunding, l’Italia, rispetto a Paesi come Francia e Germania, è ancora indietro perchè non è stato ancora varato il decreto legislativo di attuazione che precisa tra l’altro compiti e ruoli delle autorità competenti per l’autorizzazione e la supervisione dei prestatori di servizi di crowdfunding, dando il via libera al tutto. Il passaggio non è di poco conto perchè il nuovo regolamento, pur esponendo gli operatori ad una maggiore concorrenza, ne amplia le opportunità grazie proprio all’operatività legata all’iscrizione nel registro europeo. Ora Consob e Banca d’Italia, le authority designate a concedere il lascia passare e a vigilare sull’operato delle piattaforme, nell’attesa che l’iter sia ultimato (non meno di sei mesi visto il nuovo Governo) sono disponibili a guidare con interlocuzioni informali gli operatori che intendono presentare le domande, fornendo se necessario chiarimenti.

L’annuncio di ieri va di pari passo alla ratifica, pubblicata sempre ieri sulla Gazzetta Europea, della proroga del periodo transitorio, annunciata a luglio, che consente agli operatori già autorizzati (in Italia una cinquantina) di continuare ad operare fino al 10 novembre 2023 in attesa dell’iscrizione nel registro europeo.

Resta inteso che i procedimenti amministrativi di auorizzazione saranno avviati solo dopo che si sarà completato il quadro normativo, e di conseguenza gli operatori potranno solo allora presentare formale istanza di autorizzazione. Ad aspettare l’avvio del Regolamento europeo solo nell’ambito dell’equity crowdfunding ci sarebbero già circa 100 piattaforme. Queste dovranno valutare accuratamentegli interventi necessari ad assicurare il rispetto dei nuovi requisiti e dotarsi di assetti organizzativi e di controllo idonei a presidiare il corretto svolgimento dell’attività, in vista della presentazione della domanda di autorizzazione.

Il Regolamento introduce per la prima volta una disciplina comprensiva per il lending crowdfunding, mentre sostituisce quella nazionale prevista per i gestori di portali di equity crowdfunding. Gli operatori dovranno rispettare requisiti prudenziali e dotarsi di assetti organizzativi idonei ad assicurare l’adeguata gestione dei rischi e la continuità dell’operatività così come previsto dalle norme. Il Regolamento introduce inoltre norme a tutela degli investitori ispirate a quelle della Direttiva MIFID2. Sono aspetti di centrale rilievo per l’operatività dei fornitori di servizi di crowdfunding, come le misure e le procedure per il piano di continuità operativa, la scheda contenente le informazioni chiave sull’investimento e i conflitti di interesse. Per Sergio Zocchi, Presidente di ItaliaFintech, l’associazione dei principali operatori fintech in Italia, l’iniziativa di Banca d’Italia e Consob rappresenta un importante passo avanti. “Di fatto apre le porte a forme di interazione informale che sottolinea Zocchi -, da quanto appare potrà avere ad oggetto aspetti concreti dell’istanza. Siamo lieti di vedere che è stato raccolto il nostro suggerimento di avviare un cd pre-filing per le piattaforme a supporto di una transizione verso il nuovo regolamento europeo”.

Lucilla Incorvati

Da IL SOLE 24 ORE


IL RIFUGIO DEL CROWDFUNDING

Rallenta ma non si ferma. Gli ultimissimi dati, aggiornati a fine settembre, sul crowdfunding confermano una diminuzione del ritmo di crescita di questo settore. L’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano mostra tutto sommato un buono stato di salute di questa forma di raccolta diffusa di denaro destinata alle imprese (equity crowdfunding). I ticket minimi degli investitori, che sono in genere risparmiatori comuni (ma in alcuni casi anche qualificati), partono da 250 euro e consentono una deduzione fiscale fino al 50 per cento.

“Considerando il paragone tra lo scorso mese di settembre e lo stesso mese del 2021 – commenta Giancarlo Giudici, direttore scientifico dell’Osservatorio – è possibile notare una diminuzione sia nel numero di campagne che si sono concluse con successo, sia nell’ammontare raccolto”. La raccolta del terzo trimestre del 2022 è stata di 32,2 milioni contro i 33 dell’analogo periodo dello scorso anno. Il rallentamento, però, si vede soprattutto con i dati più recenti: nel settembre scorso la raccolta è stata di 7,05 milioni contro i 15,8 dello stesso periodo del 2021. Mentre le campagne di successo sono state 14, contro le 24 di un anno prima.

A confermare il rallentamento è anche l’Italian equity crowdfunding Index calcolato dall’Osservatorio. “L’indice – spiega Matteo Conti, project manager all’Osservatorio – permette di tener traccia degli apprezzamenti e dei deprezzamenti successivi al primo round di crowdfunding di ogni singola impresa e fornisce una stima dell’andamento generale del settore”. Al primo ottobre 2022 l’indice valeva 174,87 punti contro i 167,42 dello stesso giorno del 2021. Ma da gennaio scorso l’indice è aumentato di soli 3,29 punti, contro i 15,42 dei nove mesi del 2021.

Le ragioni del rallentamento sono in buona parte collegate al momento che stiamo vivendo. “Sicuramente – spiega Giudici – la situazione macroeconomica generale non è terreno fertile per questoi tipo di mercato.  Le società che raccolgono capitali tramite strumenti online sono per lo più startup innovative e Pmi, che sicuramente hanno una situazione di equilibrio finanziario fragile, inasprita da quelle che sono le conseguenze del panorama europeo”. In parte, tuttavia, il rallentamento del 2022 è collegato anche al fatto che nel 2021 si ebbe un boom di invesimenti grazie al rilancio post-pandemia: “Molte campagne si erano bloccate nel 2020, e gli imprenditori avevano rinviato al 2021”.

Tuttavia un comparto almeno è andato in controtendenza, quello immobiliare: la raccolta nei primi nove mesi del 2022 è stata di 29,7 milioni, contro i 28,8 dello stesso peiodo del 2021. Le campagne sono tuttavia diminuite da 19 a 15. “Si è andati verso la creazione di campagne immobiliari il cui obiettivo è quello di raccogliere considerevoli somme di denaro”, spiega GIudici, “E quì i ticket minimi sono in genere molto più alti: 1.000, 2.500, 5.000 euro”. A favorire la raccolta nell’immobiliare c’è anche il fatto che è spesso facile trovare tra i documenti allegati presenti sulla piattaforma anche un “rating score” che misura il livello di rischio che l’investitore corre.

Due gli ostacoli che potrebbero ulteriormente rallentare la raccolta nei prossimi mesi. Il primo è la corsa dei prezzi al consumo. “L’alta inflazione – dice Giudici – danneggia le startup e le Pmi che si ritroveranno a sostenere maggiori spese, a cominciare dall’energia. Dall’altro lato, un valore alto dell’inflazione andrà a influire negativamente sul rendimento reale dell’investimento”.

L’altro ostacolo è rappresentato dal fatto che l’Italia è in ritardo con l’adeguamento della normativa Ue, ovvero l’Ecsp (European Crowdfunding service provider), che ha l’obiettivo di creare un framework uniforme per i Paesi dell’Unione. Il regolamento è stato infatti posticipato di un anno, al 10 novembre 2023.

Adriano Bonafede

A&Finanza del 17 ottobre 2022


DA ISMEA NASCE GSMART PER FAVORIRE L'ACCESSO AL CREDITO

Un’unica piattaforma, dove in pochi click le Banche potranno calcolare il rating di un’impresa agricola e quantificare in tempo reale il costo della garanzia in relazione allo specifico finanziamento richiesto.

GSmart è il risultato dell’esperienza maturata per gli interventi emergenziali COVID, durante la quale ISMEA ha investito in tecnologia e ha ottimizzato le procedure di gestione delle domande, con l’obiettivo di rendere il percorso per l’accesso alla fidejussione non solo più snello dal punto di vista amministrativo ma anche più trasparente in termini di informazioni restituite. Da oggi, il prezzo della garanzia è disponibile alla Banca e all’impresa prima di inviare la richiesta, e per ottenerlo sarà sufficiente fornire i pochi dati necessari al sistema GSmart per elaborare la previsione di rischio.

“Tutto questo è GSmart – ha dichiarato il Direttore Generale di ISMEA Maria Chiara Zaganelli – una ulteriore semplificazione per favorire l’accesso al credito delle PMI agricole e della pesca tramite la garanzia pubblica ISMEA”.

Fonte: Ismea


Fondo Pmi, affidato ad AMCO il risanamento prestiti garantiti

La rilevantissima dimensione dei prestiti bancari oggetto di intervento da parte del Fondo Centrale di garanzia (Mcc), ai sensi dell’articolo 13 del decreto Liquidità, diventa una variabile critica nella gestione degli equilibri finanziari delle imprese. Il contesto economico attuale induce gli operatori a valutare un incremento del tasso di decadimento della qualità degli attivi bancari, tale da ingenerare la preoccupazione che la gestione di questi finanziamenti garantiti – già di per sè complessa – possa assumere una magnitudine tale da mettere in difficoltà il sistema delle imprese italiane.

Amco, la società partecipata dal Mef specializzata nella gestione degli NPL, ha recentemente ultimato un complesso progetto “di sistema” – denominato Glam (Guaranties loans active management) – in grado di modificare radicalmente il quadro di gestione dei finanziamenti garantiti da Mcc.

Amco, quale operatore di proprietà pubblica, rappresenta infatti il più grande asset manager nell’ambito del credito deteriorato, ed è stato selezionato dal governo quale protagonista di un intervento di rilevantissime dimensioni: lo spostamento dei crediti garantiti da Mcc dagli attivi di bilancio delle banche ad Amco stessa.

In particolare, le banche trasferiranno (a fair value) ad Amco i propri crediti garantiti da Mcc, i quali saranno inseriti in uno o più patrimoni destinati: nell’arco di tre anni le banche potranno trasferire tali crediti ad Amco in cambio di notes, con una vera e propria cartolarizzazione. Si tratta di titoli emessi da Amco, a valere sui patrimoni destinati in questione, con diversi livelli di seniority, dotati della possibilità di essere poi negoziati in un mercato secondario regolamentato.

Il provvedimento – che è stato reso ufficiale attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto Aiuti bis, Dl 115/2022 – non è ancora completamente operativo, sia perchè in attesa della necessaria approvazione da parte della Commissione Europea (a decorrere dalla quale è conteggiato il triennio di raccolta da parte di Amco), sia perchè mancano decreti attuativi, da emettersi entro novanta giorni, per disciplinare la fase più delicata, quella delle modalità di estensione e di rinegoziazione dei finanziamenti assistiti dalla garanzia del Fondo e di escussione e liquidazione della stessa, nonchè le modalità di esercizio da parte di Amco dei diritti derivanti dalla surrogazione spettanti al Fondo.

Il principale rischio per le imprese è rappresentato dalla circostanza che le banche – in presenza di regolamenti non particolarmente flessibili – possano optare per una escussione della garanzia Mcc allo scopo di uscire velocemente dalla posizione, creando però ( a causa dell’escussione stessa) un effetto “a catena” che determina in capo al debitore conseguenze irreparabili in termini sia di accesso al credito che di mantenimento della continuità aziendale.

L’intervento di un operatore professionale come Amco- specializzato proprio nella gestione delle posizioni unlikely to pay (inadempienze probabili), ma anche nei crediti ancora in bonis verso imprese che potrebbero entrare in difficoltà (crediti in stage 2) – potrà senza dubbio generare un grande vantaggio per le banche e per le imprese.

Il vantaggio per le banche è rappresentato dalla derecognition dei crediti in oggetto, e dunque dalla riduzione dei rischi e degli accantonamenti, con benefico effetto sia sui requisiti di patrimonializzazione sia sui bilanci delle banche stesse. Le banche potranno trasferire ad Amco non solo i crediti garantiti ma anche – come espressamente previsto dall’art. 42-quater del decreto legge 115/2022 – tutti gli altri crediti vantati dalle stesse banche nei confronti del medesimo debitore o altre aziende del gruppo. La derecognition potrà quindi essere completa: da valutarsi la modalità di gestione delle lineee autoliquidanti degli stessi istituti.

Per le imprese, d’altro canto, si apre la possibilità di avere un interlocutore unico e in grado di ricevere ed elaborare professionalmente le proposte di riorganizzazione, ristrutturazione e soluzione della crisi. Amco infatti rimarrà seduta al tavolo negoziale al posto delle banche e gestirà le posizioni debitorie insieme all’imprenditore e i suoi advisors.

Il decreto, inoltre, introduce uno strumento nuovo: le banche (e la stessa Amco, a valere sui fondi del patrimonio destinato) possono concedere nuovi finanziamenti ai debitori ceduti al patrimonio destinato, in presenza di una relazione con data certa di un professionista in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2, comma 1, lettera o, del Codice della crisi d’impresa. Qualora il professionista attesti che il finanziamento appaia idoneo a contribuire al risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed al riequilibrio della sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse sui beni del debitore non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare.

Paolo Rinaldi

Da Il Sole 24 Ore


BONUS EXPORT DIGITALE

Cos’è e cosa finanzia

Il Bonus per l’Export Digitale è un contributo a fondo perduto di 4.000 euro per l’acquisto per almeno 5.000 euro di soluzioni digitali utili all’internazionalizzazione .

E’ un progetto del Ministero degli Esteri e dell’Agenzia ICE che punta a sostenere le microimprese manifatturiere nelle attività di internazionalizzazione attraverso soluzioni digitali come:

  • realizzazione di siti e-commerce e/o app mobile
  • realizzazione di una strategia di comunicazione, informazione e promozione per amplificare la presenza online attraverso attività di digital marketing (e-commerce, campagne, presenza social) adatte al settore di competenza
  • servizi di consulenza per lo sviluppo di processi organizzativi e di capitale umano
  • iscrizione e/o abbonamento a piattaforme SaaS (Software as a Service) per la gestione della visibilità e spese di content marketing.

A chi è rivolto

Il contributo è rivolto alle microimprese manifatturiere iscritte al registro delle imprese:

  • Società
  • Ditte individuali
  • Artigiani
  • Reti
  • Consorzi

N.B. Si definisce Microimpresa un’impresa con un numero di dipendenti inferiori a 10 e con un fatturato o totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

Tra le principali attività manifatturiere (ATECO C dal 10.00.00 al 33) indichiamo:

  • Industrie alimentari
  • Industria del legno e dei mobili
  • Confezione di articoli di abbigliamento, di articoli in pelle e pelliccia
  • Fabbricazione di prodotti in metallo
  • Altre attività manifatturiere, macchinari e apparecchiature, stampa, pelle, gomma, plastiche, chimici, elettronica, elettromedicali.

Come richiedere il Bonus per l’Export Digitale

Richiedere il Bonus per l’Export Digitale è semplice e veloce, bastano pochi minuti per compilare e trasmettere la domanda.

Una volta effettuato l’accesso con SPID al link https://sso-padigitale.invitalia.it/Account/Login, selezionare la misura Bonus per l’Export Digitale.

La procedura informatica è interamente guidata.

Ricordiamo, inoltre, che nella sezione “Presenta la domanda” sono presenti i manuali guida per la compilazione e trasmissione della domanda.

Come funziona

Il contributo è oncesso in regime de minimis per i seguenti importi:

  • 4.000 euro alle microimprese a fronte di spese ammissibili non inferiori, al netto dell’IVA, a 5.000 euro
  • 22.500 euro alle reti e consorzi a fronte di spese ammissibili non inferiori, al netto dell’IVA, a 25.000 euro.

Il contributo è erogato in unica soluzione a seguito di rendicontazione delle spese sostenute presso società fornitrici iscritte all’elenco dedicato.


Finanza creativa, l'arma anti crisi per le Pmi italiane

La pandemia, la guerra, l’inflazione, i timori per un’ imminente recessione e, da ultimo, un aumento significativo del costo del denaro. Le difficoltà che le piccole e medie imprese italiane hanno dovuto e devono affrontare sembrano non avere fine. Eppure, non hanno smesso di investire ed innovare, come dimostrano la rapidità e la solidità con cui la manifattura si è ripresa dalla crisi del Covid-19.

Nemmeno adesso, nonostante tutte le incertezze, possono fermarsi, osserva Andrea Prete, presidente di Unioncamere, che assime al Sole 24 Ore ha organizzato l’evento digitale “Finanza per PMI: istruzioni per l’uso”, pensato proprio per far conoscere alle piccole aziende tutti gli strumenti finanziari alternativi, o comunque complementari, al tradizionale credito bancario su cui fare affidamento per continuare a far crescere la propria impresa. Strumenti come Crowdfunding e Private Equity, Mini Bond, Venture Capital e Collocamento in borsa, ma anche i tanti incentivi finanziari legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza.

“le PMI sono l’ossatura dell’economia del nostro Paese – ha detto il direttore del Sole 24 Ore, Fabio Tamburini, introducendo l’evento-. Negli ultimi tre anni hanno dovuto affrontare sfide impensabili, eppure hanno realizzato una ripresa formidabile, che ora però deve fare i conti con la scarsità di materie prime e i costi dell’energia”. Per fare fronte a queste difficoltà servono ulteriori investimenti, osserva ancora Prete, per acquisire nuove tecnologie e competenze, “soprattutto nell’ambito della sostenibilità e della digitalizzazione. A sostegno di questi investimenti esistono alcuni strumenti con i quali molti piccoli imprenditori non hanno ancora piena dimestichezza”.

Un tema fondamentale per un Paese come l’Italia, povero di capitali ma ricco di imprese, tante piccole e piccolissime, che fino a oggi hanno utilizzato in minima parte queste modalità di finanziamento. L’apertura ai capitali è strategica per sostenere la crescita e allontanare lo spettro della recessione: offre le risorse e il sostegno per avviare percorsi di managerializzazione delle imprese, la loro crescita sui mercati internazionali, per finanziare nuovi brevetti o certificazioni, ma anche operazioni di fusione e acquisizione, come spiega la Prof.ssa Anna Gervasoni, docente di Economia all’Università Liuc e Direttore Generale di AIFI (Associazione italiana Private Equity, Venture Capital e Private Debt). Il mercato del Private Capital è ancora relativamente limitato nel nostro Paese, con circa 160 operatori italiani ed esteri, che guardano con grande interesse al mondo delle start up e sempre più anche a quello delle piccole imprese, laddove si tratti di aziende innovative, spiega Gervasoni.

Opportunità interessanti provengono anche dal mercato dei Mini Bond (titoli di debito emessi per importi contenuti ), che in Italia vale circa 1miliardo di euro l’anno e negli ultimi dieci anni ha generato una raccolta di oltre 2,8 miliardi per le Pmi, su 8 miliardi raccolti dal totale delle imprese, secondo i dati del Politecnico di Milano. “Il valore medio delle emissioni è ancora basso – spiega Giancarlo Giudici, Professore di Corporate Finance al Politecnico e direttore scientifico dell’Osservatorio Crowdinvesting e Minibond-. Ma ci sono grandi opportunità, anche grazie alle crescenti garanzie offerte da soggetti istituzionali, regionali, nazionali o europei”. Inoltre, l’attenzione per i temi della sostenibilità sta spingendo il mercato dei Mini Bond “green”.

Piccolo ma in forte crescita è poi il mercato della finanza digitale, in particolare legato al Crowdfunding : “Gli strumenti più interessanti per start up e Pmi sono l’Equity e il Lending Crowdfunding, che insieme hanno generato risorse finanziarie per 430 milioni di euro tra luglio 2021 e giugno 2022, con una crescita del 27% rispetto ai 12 mesi”, dice Roberto Brero, senior manager di Innexta. Infine, c’è tutta la partita degli incentivi rivolti alle Pmi e legati al Pnrr, come ricorda Luca Onnis, coo Warrant Hub-Tinexta Group, tra cui nuovi contributi destinati a coprire gli extra-costi legati al caro energia.

Gi.M.

Da Il Sole 24 Ore